La casa fluida

La casa come “nido” e riparo, nell’accezione tradizionale, ma anche come ufficio, con lo smart working, spazio per l’intrattenimento e l’attività fisica. E, durante il lockdown, come “orizzonte”. L’emergenza sanitaria e le misure adottate per contenerla hanno mutato il nostro modo di vivere e “guardare” l’abitazione. Nuove necessità – e abitudini – hanno portato a mutamenti nell’uso degli spazi. All’architetto e urbanista Stefano Boeri, professore ordinario al Politecnico di Milano, visiting professor in più università internazionali, presidente della Fondazione La Triennale di Milano, nonché ideatore del Bosco Verticale di Milano, abbiamo chiesto di guidarci alla scoperta di una nuova idea dell’abitare.

Quali saranno i cardini della casa di domani?

«Abbiamo riscoperto i tetti come spazi di vita e credo che si possa fare di più. Nei nostri progetti stiamo usando i tetti anche per il coworking, per l’incontro tra inquilini, per la condivisione di un piccolo orto. I tetti, nell’architettura del futuro, dovrebbero e potrebbero svolgere quello che è stato per lungo tempo il ruolo dei cortili».

Anche il verde si è manifestato come esigenza forte.

«Il verde è tema importante sia come elemento non solo rassicurante e di qualità, ma anche per vivere meglio, aiuta a schermare la luce, ad assorbire le polveri sottili, sia quelle esterne, nella città, sia quelle prodotte nella vita domestica. Pensando pure che riusciremo a risolvere la problematica situazione attuale, nulla ci protegge dal rischio che possano accadere cose simili in futuro».

La casa, con l’emergenza, è diventata “teatro” di nuove attività: come muteranno i suoi ambienti?

«Ci sarà un sistema di arredi a geometria variabile. Alla fine è probabile, è una tendenza in corso, che dovremo abituarci a far sì che la camera da letto diventi un piccolo “monolocale polivalente”, in grado di adattarsi nel corso della stessa giornata ai differenti usi. Immagino una situazione di grande autonomia, grazie ad arredi che hanno modo di essere adattati nel tempo. Ci sono varie soluzioni interessanti di arredi mobili che possono essere spostati nello spazio, creando situazioni diverse. Esistono pareti attrezzate che diventano letti o, in alcuni casi, tavoli da lavoro. Credo si apra un periodo di grande creatività anche nel campo dell’abitare».

E la condivisione?

«Lo spazio del cibo, ossia la cucina, torna ad essere quello in cui i membri della famiglia o i coabitanti si ritrovano».

Oltre ai tetti, in quali altri ambienti si potrebbe sviluppare la casa?

«Ci sarebbe da fare un lavoro importante sui pianerottoli. Dovrebbero essere aree quasi di sanificazione. Il pianerottolo dovrebbe diventare un luogo in cui ognuno si spoglia degli elementi che potrebbero portare fattori inquinanti nella sfera privata. Immagino pianerottoli che usino infrarossi come elementi che possono ridurre il rischio di batteri e penso ad arredi per lasciare scarpe e cappotti, ad esempio. Il pianerottolo, oggi è poco usato, diventerà uno spazio più ricco. Non solo. Stiamo costruendo un quartiere sperimentale a Tirana, anche in logica post-pandemica, e stiamo immaginando una sorta di veranda all’ingresso di tutti gli appartamenti, che possa diventare indipendente, dove far stare una persona in caso sia contagiata, ma che, altrimenti, vada ad allargare l’ambiente condiviso. Uno spazio molto flessibile. Questo però si può fare quando si sta costruendo».

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